
“Tu non mi capisci mai!“. “Per quante volte glielo ripeta, non fa mai ciò che gli chiedo”. “Non so più come dirtelo“. “Mi tratti sempre male“.
Quante volte abbiamo accusato gli altri di non averci capiti? O forse siamo stati accusati noi, dagli altri. Figli, genitori, partner, amici, colleghi. Quante volte ci è capitato di dire qualcosa di cui ci siamo pentiti? Quante volte abbiamo “perso le staffe” o siamo entrati in conflitto con qualcuno che amiamo, o con qualcuno con cui sarebbe stato meglio evitare? O ancora, quante volte ci siamo sentiti non accolti o non ascoltati?
Che tu ci creda o no, nella maggior parte dei casi si è trattato di un problema di comunicazione.
La comunicazione è il MEZZO che utilizziamo quotidianamente, per relazionarci con gli altri (ed ancora prima, con noi stessi). E allora, migliorare la nostra capacità di comunicare, è la strada per riuscire a raggiungere i nostri obiettivi nelle relazioni, evitando i conflitti, e magari – perché no – aiutando gli altri a mettersi nella condizione di cooperare, anziché contrastarci. Offrirti un modello concreto di comunicazione efficace, è proprio l’obiettivo di questo articolo.
Ricorda che ciò che diciamo è sempre frutto di ciò che accade dentro di noi: appunto io parlo perchè penso (qualcosa), perchè provo un certo sentimento, e perchè desidero che qualcosa avvenga (fuori, nel mondo, o anche dentro di me). Ed allora comunico, o almeno credo di farlo, per raggiungere il mio obiettivo, per ottenere appunto ciò che voglio avvenga.
Cosa è importante quando comunichiamo?
La comunicazione parte sempre da un’idea. L’idea che abbiamo noi della situazione, e di ciò che il nostro interlocutore ci sta dicendo o capirà di ciò che vogliamo trasferirgli.
- Ma siamo così certi che l’altro riceva esattamente ciò che noi vorremmo comunicare?
- Siamo certi che l’altro abbia la prospettiva, gli schemi, il contesto per poter effettivamente comprendere ciò che noi intendiamo dirgli, per sentirlo “vero” o sensato a sua volta?
- Siamo certi che il significato che noi attribuiamo alle cose ed alle situazioni sia esattamente ciò che l’altro gli attribuisce?
Come detto: ciò che dico è frutto di ciò che accade dentro di me. Che non è necessariamente ciò che accade anche dentro l’altro.
Tendenzialmente, noi partiamo dal presupposto che la nostra idea sia universalmente giusta, poiché è frutto della nostra esperienza, della nostra conoscenza, delle nostre credenze e dei nostri valori. E sulla base di questo presupposto ci esprimiamo, assumendo che la nostra mappa, rappresenti fedelmente il territorio a cui facciamo riferimento.
Le parole che noi pronunciamo sono, in realtà la punta di un iceberg. Sono ciò che esprimiamo all’esterno di un mondo sommerso dentro di noi: le nostre opinioni intime, i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre convinzioni, valori e – universalmente – i nostri bisogni. E così come un iceberg, ciò che noi esprimiamo è la sola parte visibile poiché rappresenta la superficie che emerge. Ciò che lo sostiene, che lo anima – il nostro iceberg- è sommerso, perlopiù invisibile quantomeno ad uno sguardo immediato. La parte che emerge (i nostri comportamenti, le nostre parole) rappresentano l’atto finale di un processo interno – ed è questa consapevolezza che dovremmo sempre tenere ben presente quando comunichiamo (e dunque anche quando ascoltiamo l’altro).

Così anche ciò che percepiamo dell’altro è la sola punta dell’iceberg.
Eppure noi ci confrontiamo unicamente su quel livello, essendo spesso inconsapevoli tanto della parte sommersa dentro di noi, quanto di quella sommersa nell’altro. Ed è normalmente su quella dimensione, su quel livello visibile, che ci scontriamo con l’altro, non comprendendo ciò che invece anima il messaggio manifesto ad un livello più profondo.
Noi viviamo in bilico tra la convinzione che ciò che diciamo a livello esplicito sia tutto ciò che arriva all’altro, e l’intimo desiderio che l’altro sappia esattamente cosa intendiamo a livello profondo (essendone talvolta noi stessi parzialmente ignari).
Invece la scelta delle parole che utilizziamo, il tono di voce, il ritmo, la nostra postura, la cadenza, le nostre “espressioni tipiche”, inviano al nostro interlocutore delle informazioni che sono normalmente fuori dal nostro controllo. Il messaggio raggiunge l’altro che percepisce le informazioni da noi inviate, secondo i propri schemi profondi. Decodifica e decifra tutto quanto riceve da noi in un millisecondo, a sua volta spesso inconsapevolmente, generando automaticamente un effetto.
Se nella decodifica l’altro percepirà un messaggio “brutto o spiacevole per me“, allora l’effetto generato sarà immediatamente spiacevole. E viceversa.
Il punto è che questo giudizio di valore pressoché automatico, è determinato dai SUOI pensieri, valori, dunque dal suo iceberg profondo. Per questo capita che lo scopo della nostra comunicazione possa ottenere un effetto completamente opposto alle nostre intenzioni. L’effetto generato nell’altro attiverà immediatamente una informazione di ritorno, che a nostra volta decodificheremo secondo i nostri schemi e livelli profondi.
Il conflitto dettato da incomprensioni, spesso dunque si genera proprio a questo livello. Poiché ognuno di noi osserva ed interpreta quanto accade, dunque ascolta il messaggio dell’altro secondo il proprio punto di vista, secondo la propria storia, secondo le proprie convinzioni, bisogni e valori.
E’ tendenzialmente questo che ci incasina la vita: entrambi abbiamo ragione!

La buona notizia è che esiste una soluzione che non ci richiede necessariamente di cambiare la nostra posizione, di metterci dall’altra parte, dunque di mettere a tacere la nostra storia, convinzioni e bisogni!
Per disinnescare il conflitto, è sufficiente imparare a comunicare all’altro “sai, da dove vedo io, osservo e sento questo” con rispetto di ciò che sia il pensiero dell’altro. Comprendere anche il punto di vista dell’altro è indubbiamente utile, poiché ci consente di allargare le nostre possibili opzioni, ma il punto di partenza per imparare a comunicare con efficacia siamo noi: apprendere quali sono i nostri schemi di pensiero ed imparare a trasferire all’altro ciò che effettivamente vediamo (non quello che pensiamo di vedere), spiegando cosa questo generi in noi e consentendoci dunque di esprimere la nostra richiesta (il nostro bisogno) in una modalità più comprensibile per l’altro. Questo massimizza esponenzialmente la probabilità che il nostro bisogno venga accolto, che l’altro non si senta giudicato o attaccato poiché non comprende immediatamente cosa si cela sotto la nostra comunicazione, e che la comunicazione realizzi effettivamente il nostro obiettivo.
Da dove cominciare?
Si comincia da sé, come sempre. Per prima cosa si tratta di dare il benvenuto a qualche assunto di base:
- Non esiste NESSUNO che la pensi come noi in tutto e per tutto, poiché nessuno ha vissuto esattamente le nostre esperienze: non esistono CLONI!
- Una comunicazione consapevole può disinnescare a priori ogni genere di conflitto, predisponendo il nostro interlocutore all’ascolto ed alla collaborazione;
- Ogni parola pronunciata (da noi o dagli altri) attiva degli schemi di risposta automatici, che determineranno l’andamento della conversazione;
- Tutti crediamo sempre di reagire agli atteggiamenti dell’interlocutore e mai di essere la causa (ma non è così);
- Noi per primi ci esprimiamo frequentemente attraverso valutazioni, giudizi o critiche – spesso inconsapevoli – e questo pone il cervello dell’altro immediatamente in modalità difensiva o di attacco.
La Comunicazione Empatica (o Comunicazione Non Violenta – CNV) ci fornisce alcune semplici regole di comunicazione, per aiutarci a connetterci con i nostri bisogni e con quelli dell’interlocutore, ma soprattutto per evitare di cadere nel solito tranello, che ci conduce inesorabilmente allo scontro anziché al confronto.
L’obiettivo della comunicazione diventa quindi di trovare un accordo con l’interlocutore, un punto di incontro, un terreno comune dentro il quale potersi muovere. L’autore della C.N.V, Marshall Rosenberg, propone un modello semplice e chiaro per riuscire a comunicare in maniera efficace, specie nelle situazioni potenzialmente conflittuali: il modello O.S.B.R, che scompone la frase da comunicare in 4 semplici passi consecutivi:
- O – Osservazione: “quando vedo/ascolto/leggo etc. questa azione/evento X“…
- S – Sentimento: “…io mi sento Y…“
- B – Bisogno: “…perchè ho bisogno di/ vorrei Z…“
- R – Richiesta: “...cosa ne diresti di/ hai voglia di/ ti andrebbe di…“… ?
Vediamo ora ogni passo un pò più da vicino:
O – Osservazione: “quando io vedo/ascolto/leggo questa azione/evento X“…
L’osservazione deve essere espressa in maniera semplice e chiara. Non deve contenere giudizi o interpretazioni. Quando componi questa parte del messaggio è utile pensare di descrivere la situazione come se potesse essere raccolta dallo scatto di una fotografia. L’osservazione è qualcosa di chiaramente osservabile/ascoltabile, che non contiene interpretazioni o giudizi, e che quindi sia “incontestabile”, un fatto oggettivo. Ad esempio: il ritardo non è un concetto osservabile, immortalabile in uno scatto istantaneo, quindi non è corretto esprimere l’osservazione con un “quando sei in ritardo…“, potremo semmai osservare: “quando ti vedo rientrare a casa alle 6, ed avevamo concordato le 5…“. Il focus non è sull’altro, su come sia l’altro come individuo o sulle sue intenzioni. L’attenzione è puramente su ciò tu osservi, ascolti, leggi, ecc.
Esempi di osservazioni inefficaci vs efficaci:
- Te ne stai sempre a fare niente! -> Dalle 2 alle 4 ti ho visto sdraiato in poltrona …
- Non sopporto più le tue urla! -> Sento che il tuo tono di voce si sta alzando…
S – Sentimento: “...io mi sento Y“.
Y è il sentimento che provi, relativamente a ciò che hai osservato. E’ ciò che l’evento fa muovere dentro di te. Ricorda che il sentimento non è mai causato dall’altro, è una tua reazione a ciò che accade e al significato che dai a ciò che accade, e lo stesso accade all’altro. Io non posso “fare arrabbiare”, io posso comportarmi in un modo che stimola nell’altro la rabbia, poiché il modo in cui l’altro interpreta il mio comportamento, secondo i suoi schemi ed esperienze, gli fa sorgere quel sentimento specifico.
Di solito i sentimenti piacevoli sono associati al fatto che in nostro bisogno sia stato soddisfatto, mentre quelli spiacevoli al fatto che non sia stato soddisfatto. Ci sono molte parole che utilizziamo come se fossero sentimenti ma non lo sono, ad esempio “mi sento abbandonato/ incompreso/ rifiutato..” non sono in realtà miei sentimenti, sono semmai pensieri, o giudizi sul comportamento dell’altro. Esistono delle liste di sentimenti da cui potere attingere a piene mani, ma qui degli esempi:
- piacevoli: allegro, appagato, divertito, meravigliato, vitale, compiaciuto…
- spiacevoli: frustrato, furioso, abbattuto, amareggiato, scosso, preoccupato, infelice…
- Pensieri -> NON SENTIMENTI: accusato, rifiutato, attaccato, contestato, provocato, ingannato…

B – Bisogno: “…perchè ho bisogno di/ vorrei Z...”
I bisogni sono definiti come la spinta primaria dell’essere umano a soddisfare un’esigenza, con un comportamento mirato. Essendo una spinta primaria, sorgono ben prima dei pensieri e degli stessi sentimenti, ma così come i sentimenti, anche i bisogni appartengono a tutti gli esseri umani, e gli specifici bisogni individuali dipendono dalla specifica storia di vita di ognuno di noi. I bisogni che restano insoddisfatti nell’infanzia, possono diventare predominanti, fino a generare in noi emozioni, sentimenti e pensieri da cui possiamo rimanere sequestrati anche tutta una vita.
Allenarsi a capire quali siano i bisogni che si agitano sotto le nostre emozioni, sentimenti e comportamenti è la chiave della libertà, oltre che della comunicazione empatica. Anche qui, esistono diverse Liste di Bisogni a cui ci si può ispirare (personalmente ne ho sempre una copia stampata con me), ma qui di seguito alcuni esempi:
- Bisogni di connessione: accettazione, stabilità, considerazione, intimità, supporto, onestà…
- Bisogni di benessere fisico: sicurezza, riposo, nutrimento…
- Bisogni di gioco: divertimento…
- Bisogni di pace: armonia, ordine…
- Bisogni di autonomia: libertà, indipendenza, spazio, spontaneità…
- Bisogni di significato: competenza, efficacia, creatività, consapevolezza…
- NON bisogni: soldi, casa, lavoro (=queste sono semmai le modalità con cui si soddisfano i bisogni).
R – Richiesta: “...hai voglia di, ti andrebbe di…“… ?
Questo è il momento di esprimere concretamente la richiesta dell’azione che si vorrebbe l’altro compiesse. La richiesta deve sempre rivolgersi alla persona specifica, deve essere molto chiara e concreta, lasciare sempre spazio alla scelta dell’altro, e soprattutto deve essere realizzabile. E’ sempre preferibile esprimerla in forma positiva, quindi evitare le negazioni, ad esempio meglio evitare “non gridare” e prediligere semmai un “ti andrebbe di abbassare il tono di voce“?
Parola chiave: esercitarsi!
Già, perché questo tipo di comunicazione per noi non è naturale, siamo abituati ad esprimerci in tutt’altro modo. D’altra parte, se quella modalità “normale” ci porta sempre allo stesso risultato (conflitto, frizioni, fratture, incomprensioni), forse vale la pena tentare di fare un piccolo sforzo!
Qui di seguito ti riporto qualche esempio di frase “inefficace” ed una proposta di ricostruzione efficace in ottica di comunicazione empatica (o non violenta). Le versioni possibili sono infinite. Mi sento di consigliarti di provare a fare un pò di esercizio: pensa alle ultime situazioni nelle quali si è generato un conflitto durante la comunicazione con qualcuno a cui tenevi, o ad una situazione in cui avresti voluto evitarlo, e prova a riformularle in ottica di comunicazione empatica (o non violenta).
- Vivi sempre col cellulare in mano! -> Ti osservo scrivere al telefono da quando ci siamo seduti a tavola…questo mi fa sentire triste…perché ho bisogno di condivisione…ti andrebbe semmai di raccontarmi come è andata la tua giornata?
- Devi fare i compiti! -> Ti ho vista guardare la tv dal rientro all’orario di cena…questo mi fa sentire in apprensione…perché ho bisogno di efficienza…ti andrebbe domani di fare i compiti non appena torni da scuola?
- Non riesci proprio a capirmi! -> Quando ascolto “questa frase” mentre ti parlo di x, io mi sento infelice, perché ho bisogno di comprensione, ti andrebbe di ascoltare ciò che ho da dire?
- Se non pulisci subito la tua stanza giuro che…! -> Vedo che nella tua camera ci sono molti oggetti in giro, e questo mi fa sentire arrabbiata, perché ho bisogno di ordine. Ti andrebbe di mettere in ordine le tue cose dopo cena?
Ti garantisco che con la volontà, la consapevolezza e un pò di sana pratica nell’uso della comunicazione empatica, le tue abilità relazionali miglioreranno e con esse le relazioni che ti circondano!
Se vuoi saperne di più…scrivimi!
