Io me lo merito, l’AMORE?


SI!

E’ forse questa la risposta che istintivamente la maggior parte di noi darebbe. Razionalmente dico, ovvero rispondendo da quella dimensione un pò “epidermica” di pensiero, quella che narra forse superficialmente la storia che ci raccontiamo sulla nostra vita, e su come pensiamo che le cose dovrebbero andare. Eppure poi, nel buio della nostra camera, nella complessità di alcune nostre relazioni (a volte tossiche), nell’infelicità o insoddisfazione di molteplici momenti e scelte di vita, a fare da regista potrebbe essere proprio quell’intima, profonda e radicata convinzione di non meritarlo, l’amore.

Ma da dove arriva questa convinzione di “non meritare amore”?

La chiave per comprendere risiede spesso nella famiglia, e nella nostra infanzia.

Secondo gli studiosi della psicologia dello sviluppo, delle relazioni familiari e dell’attaccamento (es Bowlby, Ainsworth, Winnicott), l’intima convinzione di essere meritevoli di amore deriva dalle prime relazioni significative con la persona che più da vicino si prende cura di noi, la prima persona con cui entriamo in relazione e che ci accudisce (la mamma, generalmente). Per poter sviluppare un senso di sé efficace, un senso di auto-valore positivo e appunto sentirsi amabili, è necessario che questa relazione si costruisca sulla base di una sintonizzazione emotiva, ovvero sulla disponibilità della mamma (o della figura principale di accudimento) a leggere i segnali verbali e non verbali del bimbo, e rispondere alle sue esigenze in modo affettuoso, tempestivo, prevedibile nel tempo, e coerente con i propri bisogni. Questo significa che il modo in cui, fin dalla nascita, ci siamo sentiti emotivamente oltre che fisicamente accolti, accuditi e compresi, ha determinato il nostro stile di attaccamento infantile, e di riflesso il nostro modo di muoverci nel mondo in età adulta.


Perché è così importante lo stile di attaccamento?

Secondo lo psichiatra e psicoanalista John Bowlby, perché rappresenta il punto di partenza del bimbo nella costruzione del proprio sé e dei propri schemi di relazione con il mondo, consentendogli di esplorare ciò che lo circonda partendo da una base emotivamente stabile e sicura, sentendosi protetto, ma anche accolto e compreso. Questo gli consentirà anche di imparare a regolare le proprie emozioni, divenendo capace di controllare l’angoscia e l’irrequietezza, e promuovendone la gioia. Di fatto si tratta di ricevere un modello di cosa aspettarsi e cosa accettare (a volte anche ricercare) nelle relazioni ed interazioni future ed adulte.

La psicologa Mary Ainsworth (1969) ha identificato diversi stili di attaccamento, e studi successivi hanno dimostrato come un attaccamento di tipo sicuro nell’infanzia, si traduca nella convinzione adulta di sentirsi meritevoli di amore, di affetto, di comprensione e fiducia. Un pò come avere interiorizzato il messaggio che “andiamo bene così, e meritiamo amore e riconoscimento”. E questo vale non solo nelle relazioni intime o di coppia, ma in tutte le interazioni che abbiamo con il mondo, impattando quindi tutte le aree importanti della nostra vita, inclusa la sfera professionale.

Viceversa invece, accade di sentire di non andare bene, di non essere degni di un certo tipo di relazione, di partner, di trattamento, di riconoscimento, di posizione professionale, di stipendio o appartenenza ad un determinato gruppo di persone, fino anche a sentire di non meritare genericamente amore e felicità, ma semmai il contrario: sofferenza o disconferma.

Non dimentichiamoci anche che molti di noi sono stati educati da un modello secondo il quale l’affetto era oggetto di negoziazione, strettamente legato alle nostre performance e comportamenti, e al loro grado di allineamento con la gratificazione o soddisfazione del nostro interlocutore adulto. A quanti di noi è capitato di sentirsi dire:

Se non ti comporti bene, non meriti il mio tempo/ le mie attenzioni/ i miei sorrisi/ le mie amorevoli coccole”?

ovvero un TU meriti (amore, affetto, attenzioni, riconoscimento) SE ti comporti come IO mi aspetto e ritengo giusto“, viceversa non sei meritevole o all’altezza.

Si tratta di uno sfavorevole negoziato, che credo abbiamo conosciuto in molti, ed ai cui meccanismi ci siamo spesso assuefatti, fino magari a replicarli a nostra volta con i nostri figli, partner o anche in altre relazioni adulte (personali o professionali). E questo tipo di interazione genera inevitabilmente delle intelaiature che costringono (chi aderisce al modello, o lo subisce) a comportamenti spesso distanti da sé, dai propri reali bisogni, ambizioni, e/o accettando di buon grado delle svalutazioni di sé, del proprio valore, delle proprie abilità, generando frustrazione ed infelicità.


Imparare ad amarsi, per lasciarsi amare dagli altri, è una competenza che si può acquisire.

Già, questa è la meravigliosa verità.

I fattori che impattano il nostro senso di sicurezza emotiva sono davvero molteplici, e nonostante la maggior parte delle madri o figure di accudimento facciano indubbiamente del loro meglio per prendersi cura dei propri figli, alcuni studi dimostrano che circa il 40% della popolazione adulta ha sviluppato una forma di attaccamento insicuro. Fortunatamente Daniel J. Siegel e Tina Payne Bryson ci rassicurano sul fatto che anche un adulto con questo tipo di storia di accudimento, possa modificare in primis il proprio stile di attaccamento anche in età adulta, e perfino divenire genitore in grado di fornire attaccamento sicuro. Come? Semplicemente riflettendo sulla propria esperienza di attaccamento e decidendo consapevolmente di creare le condizioni necessarie, per sé e/o per i propri figli, a generare un attaccamento sicuro.

Già. E’ infatti sempre possibile afferrare le redini della propria vita. Per farlo è necessario dedicarsi del tempo, e riconoscere l’importanza di supportare la propria esistenza e realtà interiore. Osservare, esplorare e dare un nome ai nostri schemi, comprenderli, renderci consapevoli di adottarli sono i primi passi da muovere per cominciare un percorso che genererà graduale sollievo, fino a regalarci una vera e propria liberazione. Si tratta di fermarci ad osservare i nostri modelli di pensiero, i nostri comportamenti che generalmente celano radicate convinzioni – a volte estremamente limitanti – ascoltare e riflettere sul modo in cui parliamo a noi stessi, il modo in cui noi per primi ci trattiamo, si tratta di comprendere ed accogliere, imparando ad inibire il giudizio (verso noi stessi in primis), dare il benvenuto a noi, consentendoci di cominciare ad apprezzare alcune nostre caratteristiche ed azioni, divenendo progressivamente sempre più capaci di agire in maniera differente, fino a realizzare poi la vita che desideriamo, coerente con noi stessi.

Dedicare spazio e tempo a noi stessi e a questo tipo di attività, è certamente una strada efficace per imparare ad amarci e lasciarci amare dagli altri, per riconoscere appieno il nostro valore e generare delle relazioni che lo rispettino, travalicando tutti i modelli e le convinzioni interiorizzati fin dalla prima infanzia e durante la vita poi.

Molto più impervia è invece la strada che ci vede rincorrere l’amore, l’affetto ed il rispetto là dove (intimamente lo sappiamo) non possiamo trovarli. Questa è semmai la strategia che adottiamo, certo inconsapevolmente, per poter confermare i nostri schemi e convinzioni interiori svalutanti e disconfermanti. E così scegliamo di innamorarci di persone indisponibili, emotivamente ostili, a volte anche effettivamente incapaci di manifestare l’affetto di cui necessitiamo, o di rifletterci il valore che intimamente desidereremmo. E’ una sorta di boicottaggio che agiamo contro noi stessi, e che nel suo essere generatore di inevitabili sofferenze, in qualche modo ci è di conforto, poiché conferma tutte le nostre più intime credenze ed aspettative su di noi, sugli altri, sulla vita ed il mondo. E’ il nostro modo di dirci “Vedi? Lo sapevo: è inevitabile, finisce sempre così, non merito altro” – è il nostro porto sicuro, per quanto burrascoso o infausto. E noi tutti abbiamo bisogno di un attracco in qualche modo stabile, per quanto sia stato arduo per noi erigerlo, o sia penoso ogni volta l’ancoraggio o sempre più gravoso il tragitto per raggiungerlo. E questo è tanto più vero quanto più da piccoli non abbiamo ricevuto in eredità una fornita ed adeguata cassetta degli attrezzi, una formazione sufficiente sulle procedure da seguire, una mappa cui fare riferimento o un mezzo confortevole per arrivarci.

Fortuna che in quanto esseri umani adulti e senzienti, abbiamo il potere e la capacità di cambiare il nostro destino. Tutti quanti, nessuno escluso. Ognuno con il proprio grado di potenza, commisurata alla capacità di entrare in contatto con tutte le nostre verità interiori. Varia il grado di profondità a cui siamo in grado di scendere autonomamente, e con esso la velocità che riusciamo ad imprimere durante l’esplorazione prima ed il tragitto poi, oltre che il focus attentivo che riusciamo a mantenere durante queste operazioni.

A questo servono i professionisti, come il mental coach, che possono aiutarci ad affrontare il viaggio dentro di noi, i nostri schemi e le nostre convinzioni, i nostri “funzionamenti” in generale. In questo modo accettiamo di farci offrire quegli strumenti, quelle carte geografiche e quell’accompagnamento che ci consentano di percorrere il nostro itinerario identificando chiaramente l’obiettivo e mantenendo poi la rotta durante tutto il cammino.

In ogni caso, sia che tu decida di affrontare questo viaggio in solitaria, sia che tu scelga di farti accompagnare da un esploratore più esperto, le prima azioni da fare sono indubbiamente quelle di accettare e decidere.

Accettare che la tua realtà possa essere diversa da ciò che è, e Decidere di assumerti la responsabilità della tua situazione.

E tu? Decidi di cominciare a meritarlo, il tuo amore?

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